Provocazione sorridente (Unità, 24/6/14)
Come prima reazione viene da sbuffare: siamo alle solite. Il Premio Strega è sotto torchio, come ogni anno. Come ogni anno il vincitore è annunciato e l’annuncio non sarà smentito, salvo la lieve competizione glamour fra i primi due gruppi editoriali, contrapposti a suon di telefonate ai giurati: ricatti, minacce, promesse (dalla cura di un Meridiano o di volume meno prestigioso, alla pubblicazione di un proprio libro, all’assicurazione di appoggi al prossimo Grande Premio….), e via con simili procedure ormai nemmeno tanto nascoste. Ma anche solo chiamando a rapporto i tanti “infiltrati” pronti a scattare e a consegnare il voto in bianco per amore di squadra.
Ecco, quest’anno, due pirati del mondo letterario, Gian Paolo Serino – scrive su Il Garantista, nuovo quotidiano, e sul blog seguitissimo Satisfiction – e lo scrittore critico d’arte Fulvio Abbate – che si è inventato Teledurruti – si sono messi di buona lena a denunciare e a sciabolar fendenti. Non dicono falsità, è tutto vero (controllate direttamente) però vorrei avvertirli che quando in un sistema a rete in cui tutti sono legati a qualcun altro e di mogli, amici, figli e bisnonni sono piene redazioni, giurie, case editrici e via dicendo, sollevare polveroni perché la moglie del vincitore annunciato Francesco Piccolo ha lavorato per lo Strega e Stefano Petrocchi, responsabile di prima linea del Premio, pubblicherà con Mondadori (non un suo romanzo, ma un libro sullo Strega, seguendo l’esempio della rimpianta – chiediamoci semmai perché rimpiangerla – Maria Bellonci che allo Strega dedicò un primo celebre volume pubblicato da Mondadori) e dire che poi tutti sono ammanicati con la trasmissione più ambita del momento, Che tempo che fa di Fabio Fazio…. beh, insomma, mi sembra proprio non colpire il bersaglio e dare a tutti la possibilità (la solita possibilità italiana) di difendersi dicendo: le cose stanno così, fanno tutti così, come facciamo noi anime belle antiberlusconiane, di sinistra e spiritosissime, a sottrarci? E perché sottrarci se è l’unico modo di esistere a un certo livello di popolarità? E perché sottrarci se dentro queste case editrici ci sono tutti i nostri amici, le persone che stimiamo, con cui andiamo a cena e a vedere i campionati di calcio?
E’ drammaticamente vero. Se stai dentro il sistema (leggi: dentro il gruppo Mondadori-Einaudi soprattutto, il più potente, o quell’altro Rizzoli-Bompiani, ma con meno scandalo) non si scappa. L’editoria è diventata un’industria, Berlusconi o no e ben prima di lui, una vera industria. Ragiona come un’industria: fa un investimento clamoroso sullo scrittore Pinco Pallo (che altro non è che Pinco Pallo, cioè sostituibile con un qualsiasi Pinchino Pallino di nuova o vecchia – ma è meno frequente – generazione, come se niente fosse), invade le librerie, compra posti in vetrina e sui banchi di esposizione, spara pubblicità a go-go anche attraverso i propri giornali e giornalisti (che, poveracci, mica possono sottrarsi, mica possono rischiare posto e stipendio via! Mica sono santi). A questo punto bisogna rientrare degli investimenti. A tutti i costi: massacrando i rivali sul mercato, silenziando i concorrenti poveri ma belli in grado di dare fastidio (perché s’infilano ovunque quelli, malgrado tutto, quei minoritari editori puri che scelgono ancora secondo le vecchie leggi del gusto e del proprio progetto culturale). Per rientrare degli investimenti si fa man bassa dei premi, piccoli e grandi, si manda lo scrittore in televisione a ripetizione, lo si fa scrivere sui soliti giornali di proprietà paginate spesso insignificanti, ma che fa?, riflessioni personali o recensioni ad altri libri del gruppo. L’industria funziona così, l’industria è marketing, non letteratura.
Succede poi che l’industria scommetta anche su libri belli, e questo complica le cose. Come fai a prendertela con lo scrittore prescelto se è bravo, e magari anche molto simpatico, e per giunta tuo amico personale? La domanda da farsi è piuttosto: è stato bravo lui a scegliere il più forte degli editori, limitando la concorrenza a quella interna, cioè agli altri scrittori dello stesso marchio, o sarebbe stato più bravo a tenersene fuori, visto – per altro – che prende in continuazione posizioni pubbliche da grande moralizzatore dei tempi corrotti? Ma stare fuori dal sistema deviato, che fa orrore a (quasi) tutti, interni ed esterni, vuol dire rinunciare per principio alla celebrità, almeno alla sua possibilità, rinunciare a vincere i due Grandi Premi più una manciata di premi piccoli di contorno, rinunciare a veder moltiplicare miracolosamente le copie vendute, rinunciare alla visibilità, alla televisione (quella che serve per vendere in modo consistente) e a tutto ciò di cui uno scrittore crede di aver bisogno, e non solo per narcisismo, credetemi, a volte per fragilità e insicurezza. Vuol dire misurarsi solo con le proprie forze, sapere esattamente che il pubblico che ti ama ti ha scelto, non è stato indotto a farlo da niente e nessuno se non dalla forza dei tuoi libri. Sono soddisfazioni, vi assicuro, ma si pagano a caro prezzo. Certo, se a decidere di starne fuori cominciassero a essere tanti… Ci sono molti marchi seri e liberi, guardatevi intorno: Neri Pozza, e/o, Minimum Fax, nottetempo, Sellerio, Fazi e molti altri che ora non mi vengono in mente giù giù ai più piccoli. Allora l’industria editoriale si svuoterebbe o resterebbe piena dei prodotti giusti: le autobiografie dei personaggi pop, i romanzi dei giornalisti televisivi e dei best-selleristi di professione, i cuochi. Ne avrebbe di lavoro insomma, mica vogliamo affamarla.