Un amore partigiano (L’UNITA’ 28/6/14)

Un amore partigiano (L’UNITA’ 28/6/14)

Mirella Serri

Mirella Serri

Se si guarda la Storia da vicino, mettendo a fuoco gli individui che ne furono protagonisti, sono soprattutto gli aspetti più dolorosi a balzare in primo piano. E’ come se l’ingrandimento allontanasse l’accaduto col suo asettico essere stato, per restituirci la complessità e le ragioni dei singoli, colpe, responsabilità, tormenti in un eterno presente toccante e coinvolgente. In Un amore partigiano. Storia di Gianna e Neri, eroi scomodi della Resistenza (Longanesi, 220 pagine, 16,40 euro) Mirella Serri applica la lente d’ingrandimento a una pagina feroce della guerra civile italiana – quella della cattura e morte di Mussolini e di Claretta Petacci – e, in generale, alla fine del conflitto mondiale che significò non solo festa grande e liberazione, ma scorrerie e sangue ormai inutile, confusione e vendette, consumate da alcuni partigiani non solo contro i nemici sconfitti, ma anche in certi casi contro i propri stessi compagni.

Innamorata della storia come della letteratura, Serri ha scelto per raccontare un montaggio romanzesco in cui corrono parallele le vicende finali di Clara e Ben come di un altro amore, quello clandestino fra i resistenti Giuseppina Tuissi, detta Gianna, e Luigi Canali, alias Capitano Neri, caduti in sospetto della loro brigata, la 52° Garibaldi, che operava sul Lago di Como, e uccisi con calcolata brutalità. Il libro si apre sul 28 aprile del 1945, un sabato piovoso, quando la Petacci, presa prigioniera dai partigiani, e la pasionaria Gianna, che era stata torturata pesantemente dai fascisti, passano insieme il giorno precedente all’esecuzione di Mussolini e del suo gruppo di fedelissimi. Di quell’ultimo viaggio convulso verso la fucilazione e la consegna dei corpi, a Milano, del dittatore e della sua amante alla folla inferocita che ne fece scempio, la storia ha ricostruito il dramma e le dinamiche. E’ la nostra eredità di vergogna a conclusione di una guerra civile che non ha saputo essere migliore di tutte le altre. Con più fatica sono state poi svelate nel tempo, molto tempo, altre pagine oltraggiose della lotta partigiana come veniva interpretata da alcuni gappisti. L’eccidio di Porzûs, per esempio, o questa morte selvaggia di Gianna e Neri per cui nessuno ha mai pagato il debito con la giustizia.

51BepgKNVqL._AA160_Serri disegna bene le personalità dei due amanti, uomo integro e generoso lui, idealista e coraggiosa lei. Lui già sposato, lei povera e giovanissima. Molto bella, molto desiderata, mentre lui macchiato dall’infedeltà come se questo potesse riverberarsi anche sull’affidabilità di combattente. Sono contorte le vie umane verso la sopraffazione, sono fatte di invidia, odio e, soprattutto, interesse. E’ «l’oro di Dongo» a scatenare la furia omicida. Sbarazzarsi della coppia innocente, accusandola di tradimento, vuol dire potersi spartire il bottino. L’oro di Dongo, parole dal suono funesto, era il tesoro del Duce. Lui e il suo seguito e Claretta che lo inseguiva per morire con lui che non la voleva fra i piedi, si trascinavano dietro beni e denaro e gioielli e pellicce e biancheria finissima. Speravano ancora di salvarsi fuggendo in Spagna.

Male e bene, generosità e ingiustizie si intrecciano in un nodo d’impressionante fatalità nel racconto di Mirella Serri, fedele alla verità fino a sacrificare il romanzo a favore di una cronaca che diventa passo dopo passo più tragica. «Il problema» dice «è che noi, a differenza di altri popoli non abbiamo fatto i conti al momento giusto con la nostra storia e la nostra barbarie». A volte un romanzo, con più potenza di un saggio, può venire a colmare un vuoto, avvicinando lettori che altrimenti non si sarebbero mai affacciati sui segreti della rimossa coscienza collettiva.

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