Un saggio di Massimiliano Parente sulla “Recherche” (dal sito giudiziouniversale.it)

Un saggio di Massimiliano Parente sulla “Recherche” (dal sito giudiziouniversale.it)

Marcel Proust

Sono due i punti di forza del bel saggio di Massimiliano Parente su Proust, L’evidenza della cosa terribile (Cooper), bello perché stabilisce un inesorabile corpo a corpo con il testo e dunque è documentato e convincente. Primo punto: la Recherche è un’opera interamente scritta dalla parte della morte. Secondo punto: «è la prima opera d’arte darwinista». Darwin e morte s’incontrano nella completa esclusione di un creazionismo consolatorio. Proust, secondo Parente, applica alla visione delle cose e alla scrittura un metodo darwiniano evoluzionista, razionalistico e materialistico. Lo fa «sia linguisticamente, nel proliferare delle analogie e delle germinazioni semantiche che nel profondo della sua consapevolezza scientifica».

La «cosa terribile» è la vita stessa, quando la si spoglia degli orpelli illusori con cui ci trastulliamo per non suicidarci subito e impegnare il tempo che ci è dato, vale a dire l’amore, la bellezza, l’amicizia, la religione. La cosa terribile è invecchiare e morire, quell’«essere trascorsi» che non è solo la meta del viaggio, ma ogni singola tappa. Sempre stiamo morendo insieme alle nostre cellule, sempre siamo solo ricordo e persino la memoria involontaria, celebrata come grande rimedio alla perdita costante del tempo, viene letta da Parente nella linea della più spietata consapevolezza: la madeleinette, allora, diventa micidiale mezzo per sapere la verità del tempo che non torna, della marcia verso il nulla nella continua «chimica della distruzione» da cui siamo determinati, fatti, e sempre necessariamente sfatti. Il tempo è ritrovato, sì, ma solo per constatare che è stato irrimediabilmente perduto, che gli altri e noi non sono e non siamo mai gli stessi, ma fluttuanti entità squassate da sentimenti falsificanti, prive di integrità, «deformi come in un ritratto di Bacon», lanciate in una lotta senza quartiere per la sopraffazione persino quando chiamiamo le nostre pulsioni amore, affetto, attaccamento.

M. Parente

Il sottotitolo del saggio dice: Contro la vita, contro l’amore, contro la natura. In questo leggo più una dichiarazione di poetica di Massimiliano Parente che di Marcel Proust. La grandezza di Proust sta anche nell’essersi astenuto, con scelta lucida e motivata, dal partecipare alla vita, fosse pure per mettersi contro qualcosa. A me sembra che vada, insomma, nel senso del sottrarsi anziché dell’opporsi che è invece il movimento scelto da Parente come scrittore e come critico. Ma non c’è osservazione che prescinda dall’osservatore, non c’è osservato che non venga in qualche modo modificato dall’occhio che guarda. E dunque, dato a Parente ciò che è suo e a Proust ciò che è di Proust, l’analisi fatta nell’Evidenza della cosa terribile resta un’asciutta, precisa lettura della Recherche che, partendo da un altro breve e imprescindibile saggio, il Proust del giovane Samuel Beckett, compie un passo avanti nella spiegazione della smagata visione proustiana senza feticci e senza redenzione. E credo che le tre poetiche possano convergere nelle parole di Beckett (nel saggio citato): «La tendenza artistica non va nel senso dell’espansione, ma della contrazione. E l’arte è l’apoteosi della solitudine». Quando l’arte guarda la verità delle cose non c’è altra scelta. La verità è l’annientamento e, per concludere, tornando al testo di Parente: «Non c’è altro tema per uno scrittore, all’infuori di “questa evidenza”».

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