Leggere è una religione (Immaginazione n. 322 marzo-aprile 2021)

Leggere è una religione (Immaginazione n. 322 marzo-aprile 2021)

Non sapevo che Paolo Di Paolo fosse come me un flâneur della letteratura. L’ho scoperto leggendo il suo ultimo libro, Svegliarsi negli anni Venti (Mondadori, 180 pagine, 18 euro) che mi ha catturato immediatamente per il titolo e coinvolta ancora di più quando ho scoperto il parallelo che l’autore stabilisce fra due diversi “anni Venti”: quelli nostri pandemici e quelli leggeri del Novecento. Leggeri si fa per dire, si ballava allora, sì, ma sull’orlo dell’abisso, in mezzo a due guerre mondiali, era tutto un ruggire e ricostruire sulle macerie ma in attesa (più o meno inconsapevoli) di Grandi Depressioni, da cui forse non siamo ancora guariti. Perché noi del 2020, invece, ci siamo svegliati che già non avevamo la minima illusione, anzi perplessi e malinconici sulla possibilità di un futuro. Comunque nel suo personale collegare e ricostruire fra due secoli, Di Paolo va a zonzo non solo storicamente, non solo geograficamente, ma anche fra diverse arti (letteratura, cinema, fumetto…) e fra arte e scienza, citando libri mai ovvi, spesso davvero inaspettati. Di quelli che subito prendi il taccuino e annoti titolo e autore per andarteli a cercare vergognandoti di non averli ancora letti. E’ da capogiro la quantità di elementi che scomoda per creare itinerari alla sua bulimica flânerie. E quando per un attimo, resta fermo a casa, ecco che si mette a dialogare con Alexa o con Siri (se non sapete chi o cosa sono, non siete degni di questo secolo. E infatti io, per dire, lo sono molto poco. L’ho scoperto per caso soltanto l’estate scorsa, in vacanza da amici, vedendo il padrone di casa dare ordini e porre domande a uno strumento che sembrava una radiolina piazzata in angolo del soggiorno. Solo che prima di ogni domanda pronunciava un nome: Alexa, che ore sono? Alexa, a che ora parte il prossimo traghetto? Alexa, svegliami fra un’ora esatta. La voce di questa creatura virtuale, unitamente al suo essere estremamente competente e servizievole, faceva venire voglia – lo ammetto – di andarsela subito a comprare quella radiolina robotica…)

Ma insomma, tornando a Paolo, un giorno è sulla spiaggia di Ostia, allo stabilimento Vecchia Pineta e s’imbatte in Woody Allen che gira To Rome with Love. Poi lo troviamo a Parigi che risuscita fantasmi ai loro vari indirizzi, Gertrude Stein e Hemingway, Picasso e Salvator Dalì… Perché Di Paolo non è d’accordo con Shelley che scuotendo la testa pensava: «Nulla rimane».  Lui invece, grazie al cielo, sostiene: «Restano i fantasmi». Ma senza nostalgia, così, da pari a pari. Infatti, ad andarli a scovare, i fantasmi si rivelano vivi, e pieni di illuminazioni per il cosiddetto presente. A Vienna, per esempio, Paolo va a casa di Freud, al mitico 19 della Bergasse, e si mette a discutere con lui attraverso Il disagio della civiltà che ha davvero ancora molte cose da dirci. A Torino si confronta col suo Gobetti (gli ha dedicato un romanzo, Mandami tanta vita, edito da Feltrinelli nel 2013) e con la fiducia nella politica e nel cambiamento sociale di quegli altri anni Venti.

Siccome è uno scrittore, non può poi evitare di fare i conti con la situazione editoriale di oggi, così diversa e disperante rispetto a quella di ieri. Butta giù un po’ di numeri, quanti leggevano all’inizio degli anni Venti del ‘900, quanti oggi. Una differenza da capogiro, senza contare i social media che la fanno da padroni assorbendo “lettori/scrittori”. «La massa di scriventi/scrittori che dunque siamo ha davvero il diritto di pretendere che ci siano lettori?» si domanda l’autore. E si rende conto che la produzione di romanzi oggi è talmente abnorme che gli stessi operatori dell’editoria non hanno alcuna voglia, spesso, di mettersi a leggere altri libri oltre quelli su cui hanno dovuto lavorare per pubblicarli! E conclude giustamente: «Il romanzo non è morto…Non è mai stato tanto vivo. La domanda, piuttosto, è se sia vitale». Tutti, dai giornalisti agli attori, hanno l’ambizione di scrivere un romanzo, ma – si chiede Di Paolo e non è un paradosso come sembra – «hanno mai avuto davvero bisogno di leggerne uno?»

Inviterei tutti questi innumerevoli aspiranti scrittori a rispondere al breve questionario che propone Svegliarsi negli anni Venti sulle vicissitudini del romanzo. Forse sarebbe utile per capire proprie motivazioni e finalità. Per conto mio concordo – e sospetto anche Paolo Di Paolo, visto che la cita – con la definizione di Nick Hornby: «La lettura è soltanto un’altra religione». Probabilmente è così che dovremo praticare, da lettori e da scrittori, la nostra idea di Letteratura (più vicina a quella dei secoli scorsi): come i minoritari adepti di una setta. Felici, però, di perderci in vecchi vangeli come solo chi crede nei fantasmi e in una vita parallela può fare.

 

 

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