Lo scrittore abita qui (L’Immaginazione 332)

Lo scrittore abita qui (L’Immaginazione 332)

La Finca Vigia di Hemingway a Cuba

Quando – esattamente vent’anni fa – ho pubblicato con Neri Pozza La scrittrice abita qui, un libro di viaggio alle case museo di grandi autrici del Novecento che raccontava insieme i loro oggetti, luoghi, e le loro vite e opere, molti lettori mi chiedevano: «Perché adesso non scrive Lo scrittore abita qui?» Mi sarebbe piaciuto, ma non sono molti i maschi intellettuali (e no) che si rispecchiano nelle case che hanno abitato. La maggior parte si accontenta di una stanza tutta per sé, lo studio, e lì si chiude a lavorare indisturbato. Le altre stanze le lascia volentieri alle donne: mogli, madri, sorelle, figlie, che si divertano loro a scegliere le stoffe del divano, a sistemare fiori nei vasi. Poi è accaduto che in un libro più recente, Leggere gli uomini, pubblicato l’anno scorso da Laterza, ricordandomi di quella richiesta dei miei lettori, ho voluto accontentarli intitolando un capitolo «Lo scrittore abita qui» (solo un capitolo non un libro intero). Ebbene, niente di somigliante ai miei viaggi dalla Francia al Vermont, dall’Africa alla Scandinavia per trovarmi a mio agio negli affettuosi spazi, pensati e amati dalle scrittrici. Quel capitolo si apre, infatti, con una negazione: il terribile Salinger nella sua casa di Cornish nel New Hampshire, non faceva entrare nessuno, quasi sparava addosso a chi si provava ad avvicinarsi. Il punto è che, come dicono e ripetono gli scrittori, loro vivono nella loro immaginazione e nelle pagine che scrivono. Non amano invasioni e non intendono perdere tempo a inventarsi un ritratto nelle case che abitano. Con qualche eccezione. Per esempio le case di Ernest Hemingway. A Cuba, precisamente a San Francisco de Paula, 12 km a sud-est da L’Avana, detta Finca Vigia (La Sentinella) e a Key West, un’isola della Florida che guarda verso Cuba. Sono case gemelle che somigliano molto al vecchio proprietario. Ne hanno la luce festosa e la grande modernità. Parlano di un gusto minimale e geometrico, però caldo, accogliente. Domina il bianco, ma con stanze che si accendono di smeraldo e di perla. Purtroppo la sua firma si vede soprattutto nelle tante teste di bisonti, giraffe, cervi dalle corna maestose, appese alle pareti come fossero quadri, e in alcuni tappeti che altro non sono se non pellicce svuotate di belve uccise (da lui naturalmente) con tanto di fauci spalancate. Alla Finca Vigia, in giardino, è conservata anche la grande barca da 12 metri per la pesca d’altura chiamata Pilar. Erano queste le sue passioni, la caccia, la pesca e… le corride. Un’ossessione assassina che forse mirava inconsciamente a nascondere la soffocata omosessualità che alcuni hanno ipotizzato. E che sembra trovare conferma in quest’altra passione, prettamente femminile: specchiarsi nella propria residenza.

La veranda della casa di Tolstoy a Jasnaja Poljana

In linea di massima, come dicevo, gli uomini non badano troppo a quel che hanno intorno. E più si va indietro negli anni più è così (il Vittoriale di D’Annunzio con la sua dovizia collezionistico-estetica appartiene a un’altra categoria, è un grandioso monumento del proprietario a se stesso). Persino Lev Tolstoj, nella vasta tenuta di Jasnaja Poljana, a Tula, 200 chilometri a sud di Mosca, lo si riconosce inevitabilmente in un piccolo scrittoio e in una cameretta con letto singolo (da quando gli erano venuti in uggia la moglie e il sesso). Nella casa di Giovanni Pascoli a Barga, nella provincia di Lucca, la casa dei Canti di Castelvecchio e di tante altre poesie, riconosciamo il gusto della sorella Maria, con la quale andò a vivere dopo la morte del padre («O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna…»): la cucina con i centrini di carta (che almeno si buttano quando si sporcano) non sono un’idea del poeta, ma la collezione di vini in sala da pranzo probabilmente sì, le tre scrivanie dello studio sicuramente sì: una era per i versi, sulle altre si dedicava alla saggistica: l’una per gli studi danteschi, l’altra per quelli sugli altrettanto amati poeti latini. Una questione di praticità: per non stare sempre a spostare libri e carte. Commuove, in giardino, la tomba dell’amato cane Gulì, che gli restò a fianco diciotto anni morendo pochi mesi prima di lui: è circondata da una siepe e segnalata da una colonna di marmo. Accanto è sepolto un altro animaletto amato dal poeta, il merlo Merlino. E la casa offre un’altra testimonianza del suo grande amore per gli animali: un caminetto murato. Perché le api vi avevano costruito il loro alveare, e non bisognava distruggerglielo. Tutto questo, certo, lo possono raccontare i biografi. Ma vederlo con i propri occhi è un po’ come aver conosciuto Pascoli. Non chiamatelo feticismo. A me sembra un modo concreto per avvicinarci a chi ammiriamo.

 

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