Dello scrivere biografie (L’Immaginazione, settembre-ottobre 2015)

Dello scrivere biografie (L’Immaginazione, settembre-ottobre 2015)

images-1Nella quantità ormai imbarazzante delle cose che si pubblicano in Italia non vedo mai belle biografie. E pochissime se ne traducono della magnifica produzione anglosassone e francese. Non so quale perverso ragionamento facciano gli editori del nostro paese: romanzi inutili e che a stento raggiungeranno il banco dei librai, quanti ne vuoi; ma biografie col contagocce, un’offerta vicina allo zero. Certo un romanzo (specie di scrittore nuovo e sconosciuto) non costa niente, o quasi, sia all’autore sia all’editore. Anzi sembra che scrivere romanzi sia uno sport praticatissimo e divertente. Non serve apprendistato, si può eludere qualsiasi preparazione fosse pure la minima fatica di una scaletta, si può giocarci anche per anni titillando il proprio ombellico, immaginando di soffrire (e quanto è letterario questo!) a rimestare nel proprio passato o pescando dai giornali tragici fatti capitati ad altri e di grande impatto sanguinario. Il sangue, la violenza vendono, ci si dice, chissà che successo, ci s’illude.

images-2Scrivere una biografia vuol dire lavorare come pazzi, andare per vecchie scartoffie dentro archivi bollenti in giro per varie città e zone remotissime. Vuol dire mettersi a pescare testimoni e figli e nipoti di testimoni, intervistarli per ore per ottenere a volte soltanto un piccolo ricordo che potrà tornare utile, chiedere l’elemosina di una lettera perduta, di una pagina di diario, di una foto sciupata. Scrivere una biografia vuol dire prepararsi per mesi, anni, leggendo tutto del biografato e del suo entourage. Vuol dire elaborare uno spirito da detective e seguire piste che spesso non portano da nessuna parte. Vuol dire costruirsi nella testa ipotesi che non sempre reggono alla prova dei fatti e dunque il rischio di dover ricominciare tutto da capo è sempre piuttosto alto. Senza parlare di quando finalmente ci si siede a scrivere circondati da un materiale spropositato che bisogna aver saputo schedare e bisogna saper riorganizzare, utilizzare, trasformare in racconto. E il racconto deve venir fuori leggero, avvincente, commovente come un romanzo! E bisogna essere sia grandi romanzieri per farlo, sia grandi esperti della materia. E bisogna muoversi con delicatezza fra i fatti di esistenze che spesso ci hanno rivelato segreti sorprendenti e tenuti celati per anni. Bisogna essere anche un po’ psicologi per arrivare a dirimere certi misteri dell’animo umano e poi chiedersi fino a che punto è lecito rivelare le verità nascoste che, se siamo stati bravi, abbiamo scoperto. Perché in ogni vita stanno acquattate verità nascoste che magari sono proprio quelle che spiegano le scelte di uno scrittore, di un pittore, di un regista, di un politico, ma che quello scrittore, pittore, regista, politico non aveva mai confessato a nessuno, pur avendone lasciato una traccia di lumaca sparsa in appunti, lettere private, amori andati a male.

imgres-2Insomma pubblicare una biografia (o tradurla) richiede da parte di un editore un notevole investimento economico e da parte di un autore una notevole dose di umiltà: perché si tratta di mettere la propria testa e il proprio corpo al servizio di un’altra personalità, e si tratta di innamorarsi perdutamente del proprio personaggio e di amarlo di amore fedelissimo quanto gli amori reali non necessitano. Si tratta di sapersi mettere davvero fino in fondo dalla parte di qualcun altro, vedere con i suoi occhi, sentire col suo cuore. E questi occhi e questo cuore non sono creature vostre, romanzesche, non vi lasciano per niente libero d’inventare alcunché insomma. Anzi siete dei prigionieri se intendete scrivere una bella biografia, verrete trasformati in schiavi, vi sarà richiesta una morale ferrea, una cristallina trasparenza. Dovrete diventare guerrieri persino, pronti a difendere la coerenza del vostro personaggio dagli inevitabili depistaggi, gelosie, suscettibilità di parenti, eredi, amici pronti a smentirvi per reconditi motivi di personali opportunità, interessi, invidie, riservatezze.

imgres-1Beh, detto questo, non è poi così strano che tutti, almeno nel nostro paese, si guardino bene dallo scrivere biografie. E che nascano quotidianamente Scuole di Scrittura con la promessa di creare tanti nuovi piccoli narratori fatti con lo stampino (che a ben guardare è esattamente il contrario dell’essere scrittori, ovvero unici), mentre mai nessuna Accademia si occupa di fornire gli strumenti al bravo ricercatore che potrebbe diventare un ottimo biografo. E non mi parlate, per favore, delle biografie che escono da tesi di laurea commissionate a studenti inesperti dentro le università, sottoprodotti noiosissimi (anche se spesso pieni di utili informazioni).

Credo ci sia poi, in Italia, un’altra spiegazione alla resistenza verso la biografia. Siamo un popolo chiacchierone e inconcludente, approssimativo, corrotto. Abbiamo una classe politica di cui ci vergogniamo profondamente, ma continuiamo a votarla e sostenerla per poi divertirci a prenderla a pomodorate nei talk-show, nei blog, su Twitter. Eppure quando si tratta di analizzare a fondo storicamente i nostri personaggi celebri, anche stramorti, ci scatta un senso di pudore e di Lesa Maestà che popoli (mettiamo gli inglesi) per tradizione meno corrotti e più riservati di noi, nonché affezionati ai loro monarchi, non hanno minimamente.

imgresAbituati come sono alle biografie, ai memoir, ai grandi epistolari gli inglesi non si scandalizzano e non gridano al gossip quando un biografo rivela al pubblico i lati oscuri (purché documentati) della vita celebre che racconta. E i parenti non si chiudono quasi mai a riccio decisi a portarsi nella tomba cimeli o segreti imbarazzanti del nonno scultore o della zia poetessa, quasi fosse richiesto a ogni inividuo distintosi in qualche campo di essere un santo. Da noi è diverso. Il biografo è malvisto, un ficcanaso, un pettegolo che vuole screditare onorate memorie, famiglie perbene. Figli e nipoti di celebrità si guardano bene dal collaborare, anzi se possono depistano, disturbano, negano permessi alla riproduzione di lettere e documenti. Si chiudono in sdegnosi silenzi: che papà, mamma o la bisbisnonna, così fastidiosamente geniali, riposino in pace; che i loro scostumati diari dormano tranquilli in cassetti chiusi a doppia mandata; che niente disturbi, la muta riscossione di cospicui diritti d’autore guadagnati per eredità. Che tutto resti in famiglia, anche – e soprattutto forse – per future commercializzazioni di quei preziosi cimeli.

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