Intervista a Valeria Parrella (L’Unità 16/12/10)

Intervista a Valeria Parrella (L’Unità 16/12/10)

La locandina dell'incontro

Arriva a Roma, Stazione Termini, da Napoli dove vive, addentando una baguette. Sono le dieci del mattino, ma dice che a lei piace fare colazione col salato perché il dolce non le va giù. E’ minutissima, ricciuta e con spessi occhiali da miope sul naso, l’aria di una ragazzina qualsiasi che non si sia ancora del tutto svegliata, tutta imbozzolita dentro due golf e, sopra i golf, un piumino rosa. Io che l’avevo vista diveggiare in uno spiritoso servizio fotografico in cui faceva il verso, elegantissima, agli anni Trenta, quasi non la riconosco. Ma nel pomeriggio, quando andremo insieme all’incontro nella Biblioteca di Amelia (Terni), dove le farò una pubblica intervista (di cui qui sotto trovate la traccia) ecco apparire la Valeria Parrella che tutti conoscono: una trentaseienne delicata dagli occhioni scuri scuri (che invenzione le lenti a contatto), un visetto spigoloso, una bella bocca appena colorata che si apre volentieri al sorriso, ma con un’ombra fugace che appare e scompare, una specie di broncio che affiora ogni tanto a mascherare un dolore, un’ansia.

«Capricorno ascendente Capricorno» dice. Effettivamente a chi ne sa di astrologia, questo qualcosa spiega. Il resto sta nei suoi libri, quello Spazio bianco (Einaudi) in cui racconta l’angoscia di una madre che spia dentro l’incubatrice le possibilità di sopravvivenza della sua creatura nata prematura, diventato anche un bel film di Francesca Comencini, e gli eccentrici racconti di Mosca più balena e Per grazia ricevuta, scoperti e imposti dalla Minimum Fax, dove si muovono personaggi, donne soprattutto, che fra precariato e delinquenza non hanno vita facile.

Donne innamorate, scontente, criminali che ritroviamo, fra contemporaneità e mito, nelle sue pièces teatrali da Il verdetto a Ciao maschio (Bompiani). Ma perché questi amori devono sempre finire male? le chiedo pensando in particolare al recente Ma quale amore (Rizzoli), uno stravagante libro di viaggio a Buenos Aires che insieme racconta la fine di un amore e, naturalmente, Napoli. Perché Napoli è lo sfondo inevitabile della sua scrittura come della sua vita, come della sua lingua e del suo gesticolare che, con quelle dita sottili a svolazzarle davanti alla faccia, la fa sembrare più disponibile e alla mano di quanto poi sia veramente.

«Questo gesticolare è anche conseguenza del fatto che a un certo punto, per curiosità, mi sono messa a studiare la lingua dei sordi, mentre mi stavo laureando in Linguistica. Ma insomma, tornando al tema amoroso: io sono una che s’innamora facilmente e se ci s’innamora spesso vuol dire che le relazioni non sono durevoli. Poi io parto proprio in quarta, non so fare niente in sordina, e così immagino e proietto sull’altro le mie fantasie, e sbaglio spesso, inevitabilmente. Però, per nessun grande amore rinuncerei alla scrittura, e poi sono madre, e di un bambino che ha dei problemi, ed è lui, Andrea, il centro della mia affettività. Il resto viene dopo».

Con una napoletana non puoi evitare di parlare di Napoli, simbolo di tutto ciò che in Italia oggi non funziona, di degrado e fatalismo suicida. «Uffa» protesta «io vorrei che di me si  pensasse non come napoletana, ma come essere umano. M’indigno sulle cose o le apprezzo non perché succedono a Napoli, ma perché succedono nel mondo. La Napoli di oggi è il frutto di cattiva politica, che non è solo politica di destra. L’idea bassoliniana di una metropoli bellissima tutta di facciata, se vogliamo è un’idea di stampo berlusconiano. Mi ricordo i manifesti che propagandavano la nuova metropolitana: “Ce la invidiano anche a Londra” dicevano. Certo, fantastica: un museo d’arte contemporanea con tutte quelle istallazioni di grandi artisti nelle stazioni. Peccato però che i treni non passino in orario».

Le dico che a me appare come una città invivibile, che m’innervosisce molto peggio di Roma, che mi chiedo sempre come si faccia a organizzare la propria quotidianità nel disordine e nel frastuono, nella sporcizia e nel tiriamo a campare. «Ma sì, adesso che ho un bambino piccolo, che ha bisogno di spazi verdi, aria buona e pulizia, lo sento anch’io il peso di questa città. Se no, sai, Napoli è tante realtà, dipende dal quartiere in cui abiti. Se sei un privilegiato di Posillipo con villa antica sul mare, vivi nella città più bella del mondo e la spazzatura non la vedi proprio. Se te ne puoi scappare a Procida, a Capri, a Ischia, ecco che compensi i disagi. Io sto vicino a via Duomo e i rifiuti non li vedo nemmeno io. E’ il centro storico decrepito dove vivono i vecchi napoletani, le vecchie famiglie di camorra, magari agli arresti domiciliari. Entri in un negozio e il commesso può essere uno che sa maneggiare la pistola, magari è un ex spacciatore o è stato indagato per strage. Vai dal parrucchiere e ti siedi vicino alla bellissima ragazza di un qualche boss, che solo la borsetta vale 6000 euro. Un’umanità con cui faccio conti letterari, che poi entra nei miei libri. Non vivrei altrove, no, ma non per motivi d’ispirazione artistica. Io devo stare vicino ai miei affetti, la mia famiglia, gli amici».  Quanto al fatalismo napoletano, a quell’affidarsi alla «grazia», a San Gennaro o altra divinità, replica un po’ risentita: «E mica sono tutti uguali i napoletani!» Il suo impegno sociale non va genericamente alla città, ma a realtà specifiche. Il carcere, per esempio. Fa parte di un onlus “Il carcere possibile” e si batte per rendere più umane le condizioni dei reclusi. Delle recluse madri in particolare, che possono vedere i figli solo due ore a settimana.

Le chiedo ancora un’anticipazione sul romanzo che sta finendo e che uscirà da Einaudi in aprile. S’intitola Lettera di dimissioni. Una storia che parte da lontano, dal 1914 e arriva ai nostri giorni. La protagonista è una donna, impegnata in politica: le sue scelte, improntate alle convenienze del momento e ai compromessi che sembrano il male minore, sono come un ingrandimento degli sbagli della sinistra negli ultimi anni. Sarà anche una che s’innamora troppo la Parrella, ma certo non vive nel mondo dei sogni.

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