Alda tragica (Panorama, 14/01/1990)
Tre vecchie macchine da scrivere inutilizzate (“Scrivo a mano”), sveglie e antiquati orologi da tavolo che danno ognuno un’ora diversa (“Il tempo mi è indifferente”), baraonda di libri, giornali, riviste con chissà quali date sul tavolo, sulle credenze con gli specchi orizzontali come andavano negli anni 50. E’ la casa a Milano, sui Navigli, di Alda Merini, poetessa, scrittrice, di cui Il Melangolo ha pubblicato in questi giorni un nuovo libro di prose, Delirio amoroso. Del suo libro di versi Testamento (Crocetti, ’88) Giovanni Raboni, che ha curato il volume scegliendo dal vasto materiale disperso di questa irregolare autrice, ha scritto: “Uno dei più bei libri di poesia degli ultimi quarant’anni”. E Giorgio Manganelli diceva, introducendo L’altra verità. Diario di una diversa (Scheiwiller, 1986): “Credo che di rado sia stata più fermamente sperimentata la qualità empirea della parola impegnata nella ricognizione dell’ inferno”.
Alda Merini è nata nel ’31 a Milano. “Sono una donna – uomo” dice di sé “una donna che sarebbe vissuta tranquillamente da sola con la sua attività. Il cervello non ha sesso. A 17 anni ho avuto un’esplosione di poesia. Ma scrivevo da quando ne avevo cinque. Un certo tipo di poesia, come la mia, s’innesta sul trauma”. Quale trauma? “Chi lo sa, questo è il problema”. Sola, però, non ha vissuto. Ha avuto due mariti, quattro figlie disperse come i suoi versi, per volere del destino, della malattia. “Malattia? Ero una donna molto portata per i numeri, tanto è vero che ho dato i numeri all’ infinito e sono finita in manicomio. Ventisette ricoveri in tutto. Ma non so se si può chiamare malattia la mia, malattia d’esistere, forse. Le poetesse non sono folli, sono sentimentali”. Alda Merini si rifiuta di procedere con ordine nella vita, figuriamoci in un’intervista. Le sue poesie le scrive dove capita, su fogli volanti, persino sulle tovaglie di carta delle trattorie. Le regala agli amici, le abbandona. Non possiede un solo manoscritto. Se ora Il Melangolo è riuscito a pubblicare Delirio amoroso, lo si deve all’ interessamento e alla pazienza di Ambrogio Borsani, anche lui scrittore, che ha salvato dalla perdita i fogli che Alda è andata riempiendo ultimamente. Insieme a un’amica comune, Laura Alunno, che gestisce il Chimera, un bar libreria, luogo di ritrovo di giovani intellettuali milanesi, Borsani ha copiato e riorganizzato le righe disordinate della Merini, le ha interpretate con lei quando macchie d’unto o d’inchiostro trasfiguravano le parole in oscuri disegni. “Più della letteratura contano gli uomini” spiega Alda alzando le spalle. Accende una sigaretta, aspira profondamente, scruta attraverso le lunghe ciglia appannando lo sguardo verde, ironico. “Scrivere è un modo di amare” dice “o forse è un modo per suicidarsi. Le persone sole si attaccano a qualcosa, alla bottiglia, al sesso, alla penna. E io ora sono rimasta sola”. “Dove le ombre crescono, sin quasi / a traspirare luce, sui portali / del giorno, io soffro la dolente immagine / del mio pallido vivere malcerto” ha scritto in una poesia. Dice che il suo poeta preferito è Rainer Maria Rilke, che senza di lui non esisterebbe. “Io le mie poesie le butto anche via” dice. “No, non è che le disprezzi. E’ la grande editoria, quella ricca, quella che potrebbe risolvere i miei problemi di sopravvivenza, che le disprezza. Pagano milioni qualche ultimo arrivato che non vale nulla e me mi lasciano fare la fame… Sono stata in manicomio, ma non sono pazza. Le cose le capisco bene”. “Io sono povera, soltanto l’ obolo degli amici mi consente di vivere” scrive in Delirio amoroso, un libro che, soprattutto nella prima parte, trafigge per l’ incandescenza di certe immagini. Come quando consiglia: “Se l’ arte è una dura sostanza, percorrila in silenzio”, o quando descrive un uomo: “bello, alto, austero, silenzioso, temibile”, o quando rivela: “Esistono delle collane antichissime chiamate le collane dei Profeti” e continua: “A volte avverti un fruscio come di qualcosa che ti passa vicino, e stranamente esulti (…) queste collane vaganti sono le ali degli angeli”.
Dice di non avere studiato, ma cita un’altra poetessa amata, Ingeborg Bachmann, cita a memoria la Divina Commedia. Dice che i genitori le hanno impedito di fare studi musicali come desiderava, ma poi in un caffè, mentre gli altoparlanti sparano la voce di Gianna Nannini che canta Maschi, lei vede un pianoforte in disparte. Dice che lo sa suonare. Si vergogna a chiedere il permesso di suonarlo, di spegnere il juke – box. Ma il suo amico Borsani lo chiede per lei. Nel bar adesso c’è silenzio. Si siede al pianoforte Alda e con i suoi vecchi vestiti, forati dalle sigarette tenute distrattamente, con la sua gonna stretta che non si allaccia, in pantofole, comincia a suonare Per Elisa e il Chiaro di luna e Johnny Guitar e canta con una bella voce fonda. E la gente dei Navigli, che la vede attraverso la vetrina del bar, si ferma ad ascoltare colpita dalla nobiltà di quella musicista improvvisata. Ha scritto in un’altra poesia : “noi siamo sulla terra / come i grandi iniziati, / aspettiamo un richiamo, / ma il paradiso è in noi / coi suoi fermi segreti”.
Maurizio Spagna
“Il desiderio dei miei lettori
È di contornarsi al più presto
In questi versi riservati
Ad Alda Merini”
Un Grazie attirato.
Commento introduttivo,
un tributo poetico:
“Ad un grande esempio di letteratura del Novecento, donna contemplatrice che ha raccontato le grandi sofferenze della vita e ricca di espressioni poetiche vissute nel profondo.”
HO SEMPRE VOLUTO…
…aspetta un attimo, un attimo
e non sparire poesia.
Per Alda Merini il tuo verso
è nella vita…
Annuisci Alda,
Ho sempre voluto poesia attorno a me
Tratti di sentiero
Che aggiungessero corpi di scrivanie
E lampade accese di protesta
Sull’infinito appoggio di un pensiero.
La tua camera ne era impicciata.
Ho sempre voluto foto
Copie di poesia attorno a me
Sedie foderate da calici piangenti
Schizzi di un vissuto amore
Strane facce di cassetti ammaccati
E muri
Figurati dall’ombra del mio seno.
La tua camera ne era impicciata.
Ho sempre voluto poesia dal vivo attorno a me
Musica sperduta nelle parole
Volti e braccia cascanti
Sopra un leggìo che pieghi
Si ripieghi e il certo che si spieghi!
La tua camera ne era impicciata.
Ho sempre voluto una camera vuota
Nuda e dalle quattro orecchie
Bianca e chiusa in una nuvola nera
Fumata
E corteggiata dalla tua poesia
Che ho sempre voluto
Un po’ mia.
©
Da “Il cuore degli Angeli”
di Maurizio Spagna
ilrotoversi.com
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L’ideatore
paroliere, scrittore e poeta al leggìo-