Camera con vista (Moby Dick 25/2/12)
Ricordate Piccole donne? Naturalmente sì. Ma forse non ricordate un romanzo, Bagna i fiori e aspettami che Lidia Ravera pubblicò nel 1986, a dieci anni da Porci con le ali ispirandosi, molto liberamente, al fortunatissimo libro di Louisa May Alcott. A volte gli editori fanno qualche giusto repêchage e in questo caso si tratta di Et Al. che annuncia pure la pubblicazione, in un molto prossimo futuro, del sequel Se lo dico perdo l’America del 1988. Intanto godiamoci la leggerezza pulp, anzi pulp rosa, delle rinate sorelle March, divenute Lazzarini: Margherita, Amelia, Bettina e Giovanna, detta Giò, io-narrante che fa la parte del leone in una scatenanta ricerca in giro per il mondo del padre scomparso (causa non Guerra Civile come nell’originale, ma una serie di complicati avvenimenti che sono il succo di questa nuova storia). I caratteri delle quattro sorelle, con i necessari aggiustamenti, sono rispettati. La saggia, convenzionale Meg si sposa come da copione e tutto spiega con gli strumenti della psicanalisi, la meditabonda Beth declina la bontà in forme oriental spirituali, Amy ambiziosa e narcisista vuol fare la fotomodella o la valletta televisiva e Jo, ça va sans dire, scrive (gialli hard boiled sotto falso nome) sognando una vera affermazione, ma tutto il resto è pura fantasia novecentesca di una delle più duttili autrici italiane che qui si è misurata con «un romanzo per ragazzine» come lo definisce lei stessa nella spigliata introduzione. Solo che gli anni trascorsi dall’86 a oggi, trasformano il romanzo per ragazzine in una sofisticata commedia, con intreccio rosa-nero e linguaggio spiritoso, alla faccia di tutti i modaioli neorealismi e neoimpegni che possiamo allegramente accantonare per almeno tre/quattro ore, tante ne servono per arrivare alle ultime movimentate pagine di questa storia liscia come l’olio e rigorosamente a lieto fine.
A proposito di repêchage e piccoli editori, oltre a non lasciare nel dimenticatoio vecchi libri di autori italiani che i potenti dell’editoria (avevo scritto grandi, cancellando subito: specie estinta), snobbano alla ricerca sfrenata di un nuovo che la maggior parte delle volte è già superato prima ancora di uscire, parecchio lavoro c’è da fare anche sugli stranieri. Ben venuta, per esempio, la traduzione di Angelo Molica Franco e Rosalia Botindari con postfazione di Gabriella Bosco, per la casa editrice DelVecchio, di alcuni deliziosi testi di Colette, Prigioni e paradisi, mai comparsi prima in Italia. A proposito di leggerezza, l’opera omnia della scrittrice francese è piena di brevi articoli, critiche teatrali, cinematografiche, letterarie, divagazioni varie che sia pure minori rispetto alla narrativa, sono non solo utili a capirne il temperamento, ma di piacevolissima lettura per il brio, la competenza, la passione, lo spirito di cui sono pervasi. Colette è capace di fare letteratura anche sul decorso dell’influenza, su una fetta di pane immersa nel latte da mangiare a merenda, su un bicchiere di vino bianco di Châteaux-Chalon che non ha nulla da invidiare a un Bordeaux. Scritti fra il 1912 e il 1932 per i tanti giornali e riviste a cui collaborava, sono un autoritratto fedele della persona Colette, che ama gli animali, discute con la gatta e cura le lucertole, visita lo zoo e s’intristisce sulle bestie imprigionate, si lascia sedurre dall’elegante indifferenza di Landru al suo celebre processo e dà un ritratto superbo della sua amica Coco Chanel che paragona a uno scultore mentre drappeggia e taglia la stoffa intorno all’«angelo biondo dorato» della mannequin. Ha «una nuca divorata dai capelli neri che le crescono con un vigore quasi da arbusto», si piega centomila volte «con rapide genuflessioni da monaca». Lo sguardo di Colette è preciso, asciutto. Non si commuove, descrive. Non è esclamativa, è complice. Lo scoiattolo diventa un «folletto ilare», scova «serenità borghese» nella cattività rassegnata dei leoni, e in tutto si riflette e si rivela: il mondo un grande specchio dei suoi sentimenti generosi, perspicaci, miracolosamente oggettivi.
A proposito di libri che non si trovano più. Nei giorni scorsi mi sono disperata alla ricerca di Fiato d’artista. Dieci anni a Piazza del Popolo di Paola Pitagora, pubblicato undici anni fa dalla Sellerio. L’avevo letto e recensito appena uscito e poi probabilmente prestato e, quindi, come capita spesso, perduto e dimenticato. Ma poi viene il giorno che mi serve, proprio quel libricino, niente altro. Lo ricompro, mi dico, e spulcio in rete. Niente. Certo ci sarebbe la rubrica di Fahrenheit «Caccia al libro», il programma di Radiotre che aiuta gli scambi di questo genere fra gli ascoltatori. Ma ho fretta e non so come rintracciare l’autrice. Così mi rivolgo all’editore che ritrova una vecchia copia e me la manda. Mai gentilezza fu più gradita e cocciutaggine di lettore meglio premiata. Si tratta infatti (come ricordavo) di un racconto coinvolgente e utilissimo. E’ la testimonianza da protagonista di un periodo esaltante, quello fra il 1958 e il 1968 fra gli artisti a Roma. Ed è anche la bella storia d’amore di un’attrice, Pitagora, e un pittore, Renato Mambor, dalla loro estrema giovinezza a una difficile, altalenante evoluzione. Seguendo le loro vicissitudini ci s’imbatte in una Roma scomparsa e si rivivono le passioni, le amarezze, i dissidi del gruppo dell’avanguardia artistica romana (Schifano, Ceroli, Festa, Kounellis…) riunitasi intorno al Caffè Rosati, meta anche di intellettuali, scrittori, giornalisti, e a due celebri gallerie, La Tartaruga e L’Attico. Sono rari in Italia libri come questi, libri testimonianza ben scritti, avvincenti come romanzi, che ti danno il sapore di un periodo, quelle microstorie che rimpolpano la Storia rendendola viva, comprensibile nelle pieghe della quotidianità perduta per sempre.
Allora, mi chiedo: com’è possibile nell’epoca della riproducibilità digitale, immediata e sterminata, che un libro cada fuori catalogo e non sia disponibile anche fosse solo per un unico lettore desiderante? Perché non ci pensano almeno i piccoli editori a costruire una grande biblioteca virtuale in cui si possano ritrovare tutti i titoli possibili? E magari, previo un prezzo equo, a stampare anche un’unica copia, copertinarla in modo adeguato e spedirla al lettore? Vedo pure, in una simile operazione, un bel po’ di lavoro per giovani laureati a spasso…