Recensione a Szczygieł (Giudizio Universale, luglio 2011)
Il modo in cui Mariusz Szczygieł, nato nel 1966, coniuga le sue due professioni, giornalista e scrittore, produce risultati a mio parere fra i più interessanti e innovativi nella letteratura contemporanea. Come già nell’indimenticabile Gottland, nel nuovo piccolo libro, Reality (153 pagine, 8 euro), pubblicati entrambi da nottetempo, lo scrittore polacco usa fatti minuscoli, vite vere apparentemente insignificanti, dettagli di esistenze trascurabili, per costruire storie che del frammento sanno fare affresco sociale, umano, universale. Con particolare attenzione ai destini femminili e con una sensibilità rara e commovente, pur nella straordinaria ironia, di cui è generosa la realtà anche quando è drammatica, e che Szczygieł riproduce nella sua purezza minimale efficacissima.
Dunque, a monte c’è un lavoro di ricerca, un’esperta capacità di ascolto per cui l’autore raccoglie i suoi «dati» e li risistema in un racconto che non vuole essere invenzione, ma soltanto rielaborazione, fatta soprattutto di tagli e rimescolamenti. Non sappiamo e non ha importanza quanto ci sia di aggiunto (che sicuramente c’è e anzi la confusione fra verità e invenzione è parte del senso dell’opera), sta di fatto che ciò che leggiamo si stampa indelebile nella memoria e ci avvicina a piccoli destini lontani che miracolosamente diventano anche la nostra storia. Nei racconti di Reality, per esempio, troviamo uno scambio epistolare fra due amiche che si vedono poco, ma si frequentano per tutta la vita. Cosa si dicono? «Nel matrimonio conviene mancare di spirito d’iniziativa, o perlomeno far credere di non averlo», cose così: si lamentano dei mariti, si preoccupano per i figli, si scambiano sgomente considerazioni sulla perdita della bellezza e l’invecchiamento, restano vedove e rimpiangono la vita coniugale soffrendo di solitudine, accennano a Solidarność e alla delusione che rappresenta per loro, si scandalizzano per i comportamenti di un Lech Wałęsa che si è montato la testa e intanto parlano dei lavori domestici, della fatica di essere donne. Sono riportate anche le loro fotografie a rendere tutto familiare e credibile. Si chiude il libro col senso di amarezza e di dolcezza che la lettura procura quando va all’osso delle cose. «Letteratura dei fatti» l’ha chiamata giustamente il suo autore. Eccone altri esempi: nel racconto che apre il libro riporta la buffa agenda di una tal Janina Turek; non un diario, ma semplice conta di eventi tipo «quante telefonate ha ricevuto e da parte di chi». Oppure elabora una specie d’inchiesta poliziesca perché, trovando in un bar un vecchio foglietto incastrato nel muro, va alla ricerca delle persone reali (tutte donne) che vi sono elencate. «Nella routine quotidiana succede sempre qualcosa» commenta Szczygieł. Succede, inevitabilmente, la vita.