VLADIMIR NABOKOV RACCONTATO DAL FIGLIO DMITRI (Panorama 22/10/1989 n.1227)
Montreux
Malgrado l’ assedio del traffico e il cemento che divora la montagna, il panorama che si gode dal Palace Hotel è lo stesso che vedeva Vladimir Nabokov dalla sua suite al sesto piano dell’albergo (tuttora abitata dalla moglie Vera). Fu soprattutto la bellezza del paesaggio a convincere lo scrittore a trascorrere qui l’ ultima parte della vita, dal ’61 al ’77, data della morte avvenuta in un ospedale di Losanna per un’ infezione postoperatoria. L’autore di Lolita, di Pnin, di Ada, di Parla, ricordo aveva 78 anni e stava scrivendo un nuovo romanzo, L’originale di Laura.
Ne esiste quasi metà, chiusa in una cassaforte svizzera. «Mio padre ci ha vietato di pubblicare le cose incompiute. Voleva che bruciassimo tutto» dice l’ unico figlio Dmitri, nato a Berlino nel ’34, curatore e traduttore in diverse lingue dell’ opera paterna, scrittore, saggista e cantante lirico, appassionato di alpinismo e di corse automobilistiche, sportivo spericolato dalla casa invasa di coppe e trofei. Ha gli stessi occhi chiari e distanti del padre e lo stesso naso prominente, ma è molto più alto; nelle vecchie foto supera i genitori di tutta la testa.
«E’ una scelta difficile quella sugli inediti. Assecondare il desiderio dell’ autore e privare la posterità di possibili capolavori? Sono incerto. Un’altra opera incompleta (mancano due pagine che con mia madre sto cercando di ricostruire attraverso gli appunti) è una pièce teatrale, La tragedia del signor Morn, scritta agli inizi degli anni ‘30. Questa sarà sicuramente pubblicata, perché mio padre non aveva preso al riguardo una posizione rigida». In attesa, l’apparizione negli Stati Uniti di un enorme volume di lettere, Selected Letters 1940-1977, quasi tutte inedite, sta suscitando molta attenzione.
Si tratta di una prima scelta, curata da Dmitri Nabokov e Matthew J. Bruccoli, cui seguirà probabilmente un altro volume nei prossimi anni. Non sono, tranne pochissime, lettere familiari come quelle tradotte in italiano recentemente con il titolo Nostalgia, presso le edizioni Archinto, e non hanno lo spessore del carteggio Vladimir Nabokov-Edmund Wilson 1940 1971, pubblicato in Usa nel ‘79, splendida testimonianza dell’incontro-scontro intellettuale di due geni. Ma sono avvincente documento
dell’attività letteraria di uno dei più grandi scrittori del secolo, della sua ossessione linguistica, delle riflessioni sulla propria opera, della paura quasi maniacale di essere tradito dai traduttori, e di altre due profonde passioni oltre quella letteraria: gli scacchi e le farfalle.
«Riflettono anche un’ esemplare moralità umana e artistica. Chi non ha conosciuto intimamente mio padre, lo considerava, a causa del suo costante humour e della necessità di difendere la sua privacy, persona fredda e altera» racconta Dmitri. «Spero che queste lettere contribuiscano a sfatare una simile leggenda e a mostrare la parte affettuosa, delicata e appassionata del suo carattere. Era un uomo di enorme sensibilità e generosità e, come fa dire a John Shade in Fuoco pallido, la sua è una poetica della pietà». Molte delle lettere comprese nel volume americano riguardano la travagliata vicenda editoriale di Lolita, su cui pesò nei pudibondi anni ‘50 il sospetto di pornografia. La storia del maturo Humbert Humbert che s’ innamora di una dodicenne e ne sposa la madre per poter nascostamente cogliere il fiore della passeggera giovinezza, esplose come una bomba in Europa (dove il libro trovò una prima ospitalità editoriale) rimbalzando successivamente negli Stati Uniti.
«Tu e io sappiamo che Lolita è un libro serio con una seria intenzione» scrive Vladimir Nabokov a un suo agente in una lettera del ‘55. «Spero che il pubblico lo accoglierà in questo senso. Un succès de scandale mi deprimerebbe». Fu invece proprio un successo legato allo scandalo che doveva capitargli. Un successo clamoroso e sbagliato che tuttora grava sulla fortuna di questo frainteso scrittore. L’ errore sulla sua opera è talmente clamoroso che ancora oggi si definisce una «lolita» qualsiasi ragazzina alle soglie dell’ adolescenza che abbia atteggiamenti seduttivi ed equivoci. Mentre nel romanzo la situazione è capovolta: è Humbert a corrompere e devastare la vita di una bambina. «Lolita è un’opera tragica» dice Nabokov in un’altra lettera, e: «Il tragico e l’ osceno si escludono a vicenda».
«Lolita era il libro che mio padre preferiva. E’ sempre stato consapevole di aver creato con quel romanzo un’opera senza precedenti, dall’eccezionale ricchezza linguistica. Ma lo scoraggiamento per la vana ricerca di un editore, le reazioni scandalizzate degli amici che lessero per primi il manoscritto lo convinsero a un certo punto che avrebbe dovuto distruggere il suo lavoro. Se non fosse stato fermato dalla moglie, Lolita, che in un primo momento si chiamava Juanita Dark, una specie di Giovanna d’Arco, sarebbe finita sul rogo, martire dell’arte, bruciata in un giardino suburbano di Ithaca, nello Stato di New York». L’ inatteso successo che seguì, servì almeno a restituire a quel russo in esilio che scriveva ormai in un inglese sublime, capace di deformazioni e contaminazioni sorprendenti, la ricchezza finanziaria che la Storia gli aveva sottratto.
Era nato a Pietroburgo in una famiglia dell’alta aristocrazia, era cresciuto nel lusso e nel clima cosmopolita dell’intellighenzia del primo ‘900, aveva conosciuto le cure di istitutrici inglesi, francesi, svizzere e gli insegnamenti anche eccentrici degli istitutori privati. Il padre era figura di spicco nella politica del suo Paese, un liberal inviso allo zar e che poi lo fu altrettanto, anzi di più, ai bolscevichi (fu assassinato nel ‘22). La Rivoluzione gli tolse agi, proprietà, servitù, ma soprattutto ricordi. Lo spinse povero e ramingo in mezzo alla folla pittoresca degli emigrées, in Inghilterra, in Francia, in Germania. Aveva scritto in russo nove romanzi e un
mucchio di poesie, poi nel ‘40 il grande salto. Con Vera Slonim, sposata a ventisei anni, e con un figlio di sei, parte per gli Stati Uniti: altri lavori, altre case, altri paesaggi, altri libri. Ma in
inglese.
«Anche se aveva appreso l’inglese, da piccolo, secondo l’educazione aristocratica russa, e anche se aveva studiato a Cambridge, portare quella lingua non sua allo stesso livello del russo fu un compito lungo e niente affatto facile». Dmitri scherza sul «monololitismo» del padre e spera che anche in Italia, dopo anni di trascuratezze vergognose, nuove iniziative editoriali possano correggere l’idea che Vladimir Nabokov sia solo l’ autore di Lolita. Da Bompiani usciranno (autunno del ’90) due volumi nella collana I grandi Maestri che raccoglieranno, oltre ai romanzi più famosi, le prime traduzioni italiane di Strong opinione e Look at the Harlequins! E poi Una bellezza russa e Invito a una decapitazione. E sarà probabilmente Adelphi ad accaparrarsi i diritti dei singoli libri. Dmitri si occuperà in prima persona di alcune traduzioni e rivedrà quelle degli altri, secondo una puntigliosità nabokoviana che terrorizza gli editori di mezzo mondo.
«Sono considerato un rompiscatole, ma cerco solo di raggiungere i risultati migliori» e cita una frase del padre: «Qualsiasi termine io possa usare, il mio scopo non è l’ ostentazione fatua o la grottesca oscurità, ma l’ espressione di quel che sento e di quel che penso con la massima veridicità e percettività». E nelle lettere sono impressionanti gli sforzi che spende nel convincere agenti ed editori che importanti non sono le trame dei suoi libri, ma l’ uso delle parole. Già nel ‘35 si descrive come un «autore che aspira nel suo lavoro a una precisione assoluta».
Nella suite del Palace, Dmitri mostra il leggio dove Vladimir Nabokov usava al mattino mettersi al lavoro. «Cominciava la sua giornata in piedi, poi a mano a mano si stancava e passava a sedersi in poltrona. Aveva un’asse speciale che appoggiava ai braccioli. Poi si metteva sul letto e scriveva disteso. Scriveva a mano, su schede. Ciò gli permetteva facilmente di spostare interi blocchi di righe da un punto all’altro del libro che stava preparando. Non esisteva ancora il computer».
Questo appartamento fra poco non esisterà più. Il Palace ristruttura completamente lo stabile. Non resterà nessuna casa visitabile di Vladimir Nabokov. E Vera – alla quale il marito ha dedicato ogni libro – a 87 anni è costretta a traslocare.
«Certamente la scelta di vivere in un albergo deriva in parte dalla disgrazia di aver perduto le case dell’infanzia. Non perché mio padre soffrisse di nostalgia, ma per una questione sentimentale di continuità». Spezzate le radici, era come se non potesse più metterne altre. E l’appartamento di Dmitri, nella zona alta di Montreux, è un altro esempio di sradicamento: nessun oggetto di famiglia, pochi mobili moderni ed essenziali. E un trenino elettrico di grosse dimensioni che scorrazza per tutta la casa. «Mi piace l’ idea di questo giocattolo che al mattino porta il caffè agli ospiti».
Intanto il videoregistratore fa scorrere le immagini di Vladimir Nabokov intervistato a Montreux nel ’66 da una rete televisiva americana. Ha un’ aria timida, schiva, gentile. Indica il lago. Dice: «Sembra argento liquido». E aggiunge: «Sono spaesato dovunque e sempre. E’ il mio stato».