Un romanzo di Stefania Scateni (Il Foglio 14/4/12)
Forse la definizione di «autofiction» non è pertinente, anche perché non è chiarissimo cosa sia; ma Dove sono (edito da Nottetempo) primo romanzo di Stefania Scateni, che dirige le pagine culturali dell’Unità e ha già pubblicato alcuni racconti, sembra appartenere di prepotenza e con onore alla categoria. Se infatti l’autofiction è un modo di narrare che utilizza l’autobiografia in maniera, per così dire, creativa, senza l’obbligo di attenersi strettamente alla verità dei fatti, con questo libro ci stiamo dentro di tutto diritto. La protagonista, Chiara, ha una storia d’amore travagliata con Paolo. E’ per venirne a capo che scrive lettere che non imbuca, e l’atto mancato segnala il bisogno di farsi conoscere non tanto all’altro, quanto a se stessa. La storia che dipana viene da lontano e ha una tradizione femminile dolorosa, radici che tirano e pesano sulla protagonista, che spiegano il suo io ferito e però risoluto, la sua ribellione a un padre padrone violento.
«Mio padre poteva schiaffeggiarmi sul viso, in testa, sul sedere e sulle gambe. Mia madre mi tirava i capelli. Ma solo quando si arrabbiava perché non stavo ferma, la mattina, quando mi pettinava». Pur nella differenza dei due atteggiamenti, paterno e materno, Chiara racconta una dimensione familiare e sociale dove la violenza è moneta di scambio normale, diffusa, pervasiva. E’ un mondo povero e duro, contadino, dove mani femminili e maschili danno morte impietosa agli animali del cortile, oche, conigli, galline. E i bambini assistono atterriti o incantati, imparano senza essere preparati il fulmineo o lento passaggio dalla vita alla morte, l’importanza della perizia del carnefice, i diversi spasmi della sofferenza fisica, quelli più segreti del dolore psichico.
Sono pagine molto potenti quelle che raccontano l’apprendimento del dolore, come fra le migliori sono anche quelle che raccontano il lavoro in fabbrica delle tabacchine, operaie dalle mani delicate nel trattare le foglie. «La morte è dappertutto. La morte è. La morte dolce delle piante per esempio». La Fabbrica è un’occasione di vita e di riscatto, ma subito si rivela anch’essa come fonte di sfruttamento e pericolo, campo di concentramento dove si sviluppano sentimenti troppo in contrasto con la fatica di esistere e anche loro, quasi sempre, perdenti.
Eppure, così pieno di tragedia, umana e animale, Dove sono non è un libro triste: è un libro forte, problematico e dolce, in cui si può rispecchiare la vita di tutti nell’inevitabile processo di individuazione personale, fatto di quotidiane conquiste e sconfitte, di lucide disamine e anche, per fortuna, di illusioni, innamoramenti, scommesse su un futuro possibile: quello di Chiara, quello di ognuno.