Peter Stein, intervista (L’Unità 18/1/14)
Nel foyer del Palladium, durante l’intervallo di un magnifico Ritorno a casa di Harold Pinter, ripresa romana (fino al 26 gennaio) dello spettacolo che ha debuttato a Spoleto nel luglio scorso, Peter Stein, rilassato e sorridente, s’intrattiene con gli amici, Alfredo Reichlin fra gli altri. Ma non parla di Pinter, su cui accoglie i complimenti con germanico distacco: parla di Verdi, perché è già proiettato verso il futuro, verso il prossimo impegno. In aprile, a Mosca, sarà in scena un’Aida con la sua regia. Ci sta già lavorando.
«L’Aida, capite? Cosa c’entra con me, mi sono detto quando me l’hanno proposta». Era condizionato – come tutti – dall’immagine roboante, fastosa della scena del trionfo. Ma poi, dice, si è andato a vedere la partitura e ne ha scoperto la struttura drammatica giocata su registri persino intimi. «E’ un’opera davvero singolare, interessantissima». Tutti quei duetti, quei terzetti che disegnano una fisionomia ben lontana dallo spettacolone cui tutti pensano, quando pensano all’Aida…
La sua competenza musicale (da giovane ha suonato seriamente il violino) fanno di lui uno dei più sensibili registi della lirica mondiale. Ma è questione di orecchio sempre, in teatro, per un artista come Peter almeno, che leggendo i testi li “ascolta” in quel che di più profondo, segreto hanno da dire.
«Oggi è tutto un voler inventare, modernizzare!» spiega. «Io invece mi sento sempre al servizio dell’autore, non voglio aggiungere niente di mio se non il lavoro di comprensione sul testo. E in questo Ritorno a casa di oggi rispetto al passato, rispetto agli anni Sessanta, se c’è “modernizzazione” è dovuta al cambiamento che il tempo che passa introduce nella lettura della commedia. Il ruolo della donna, per esempio…» Qui Stein, nel foyer del Palladium, risponde a Nadia Fusini, colpita dal personaggio femminile potentissimo, unica femmina (Ruth interpretata da Arianna Scommegna) in mezzo ai cinque protagonisti maschi (Paolo Graziosi che fa il padre; i tre figli: Alessandro Averone, Rosario Lisma, Andrea Nicolini, e Elia Schilton che è lo zio Sam).
«Ruth esprime la femminilità nella sua ampia gamma: si batte con tutte le armi che ha contro la volontà prevaricante degli uomini e alla fine spodesta dal “trono” il patriarca e si siede lei nella sua poltrona, diventa lei la regina. Questo era già nel testo, ma oggi che il ruolo della donna è più centrale nella società, il ribaltamento che accade nella commedia diventa senz’altro più accettabile, più realistico».
Parlare di realismo per Pinter, questo Pinter in particolare che, come dice Stein «è il più fortemente Pinter», è sempre un po’ scivoloso. «Meglio parlare di un “realismo enigmatico”, quasi surreale a tratti. Quella cifra particolare sua per cui navighi nell’incertezza: non capisci bene dove ti vuole portare, però ti accende di continuo un senso di sorpresa».
Gli attori, tutti bravissimi, ma con un Graziosi che supera se stesso nei toni intimi come negli urlati, nella volgarità estrema e nelle stupefacenti piccole tenerezze, hanno seguito il regista fin nei minimi dettagli in un accordo che pare quello di un’orchestra affiatatissima, di un balletto preciso e pieno di grazia e di furori.
«E’ uno spettacolo molto rodato quel che si vede adesso a Roma» si schermisce Stein. «Dopo Spoleto, lo abbiamo messo a punto a Prato e a Mestre», ma non nasconde la soddisfazione per un risultato che ora è del tutto tondo e non ha più bisogno di altri interventi. Ed è anche vero che lui insegue Ritorno a casa (Homecoming nell’originale inglese) da tanti anni, da quando nel ’65, nemmeno trentenne, ebbe l’occasione di assistere alla prima mondiale a Londra. «E’ il lavoro più cupo di Pinter, che affronta i profondi pericoli insiti nelle relazioni umane e soprattutto nel rapporto precario fra i sessi».
E’ la prima volta che ne mette in scena un testo pur considerandolo fra i più interessanti autori contemporanei. Ha anche conosciuto di persona il drammaturgo inglese (scomparso nel 2008), e poteva annoverarlo fra i propri estimatori. Ma Stein ancora una volta si schermisce: «Quanto a questo, magari non aveva mai visto un mio spettacolo e diceva di essere mio fan per gentilezza!» Sicuramente Pinter sarebbe stato “fan” di questo allestimento così filologicamente esatto, così rigoroso e statuario, perfetto anche nei costumi dell’inseparabile collaboratrice del regista tedesco, Anna Maria Heinreich, e nelle scene di Ferdinand Woegerbauer. E intanto, a lui è venuta voglia di insistere con Pinter e sta meditando di applicarsi in futuro anche al Guardiano, del ’59… chissà. «Tanto, qui in Italia» riflette con il suo solito gusto polemico «devo orientarmi su commedie a pochi personaggi. Mica mi posso far venire in mente di fare Shakespeare, io! I finanziamenti per il grande teatro classico li trovano solo i padroni delle scene italiane… i Lavia, i Ronconi…»
E così, intanto, salta su un aereo a se ne va a Mosca per la prossima regia lirica. Ormai a Mosca è di casa, i russi lo considerano «più russo dei registi russi», e sicuramente il più cecoviano, data la sua passione antica e indistruttibile per l’autore di Tre sorelle. Tre anni e mezzo della sua vita li ha passati in Russia, nel ’93 e nel ’98, e anche se non parla la lingua, la comprende. «Ho visto cambiare il paese nel periodo Gorbaciov e poi con Eltsin, quando è esplosa la libertà, che era la libertà della giungla, ma culturalmente il clima era molto interessante: fiorivano discussioni dappertutto e su tutto. Ora siamo nell’era Putin, quell’effervescenza è scomparsa. Le condizioni economiche sono migliorate tantissmo e le strade sono intasate di un traffico parossistico e puzzolente. A Mosca vedi più Ferrari che in tutto il resto del mondo, quasi… Ma nel mio campo è una meraviglia: il pubblico russo ha ancora un grande rispetto per l’arte, un’attenzione qusi religiosa, che altrove è scomparsa».
Per questo, dopo un Fierrabras di Schubert al festival di Salisburgo quest’estate, sarà a Mosca che tornerà in ottobre per l’allestimento di un nuovo spettacolo (non musicale), il Boris Gudonov di Puškin: non proprio Shakeapeare, ma un dramma comunque molto shakespeariano.