Sul romanzo di Giovanna De Angelis (L’Unità, 24/1/’14)

Sul romanzo di Giovanna De Angelis (L’Unità, 24/1/’14)

G. De Angelis

G. De Angelis

Capita che le esperienze estreme della vita producano letteratura sul crinale delicato della testimonianza e della fiction. Così quando Giovanna De Angelis, gravemente malata, mi chiese di leggere il romanzo che aveva scritto, il suo primo romanzo, durante quei mesi di terapie e di attesa di un midollo da trapiantare che non arrivava, non mi sono sorpresa. La sorpresa è arrivata leggendo, perché quel testo non aveva nulla di confessionale o di diaristico: era un vero bel romanzo in cui certo passava l’ospedale e passavano tutte le amare scoperte di chi si trova improvvisamente a vivere un’avventura sconvolgente, inaccettabile, e si vede guardato dagli altri in modo inedito e spesso terrorizzato o offensivo. Ma il nucleo della trama stava altrove: stava nello spostamento della rabbia dalla frustrazione incredula, dovuta alla malattia, all’ancor più sorprendente, insolente frustrazione dei sentimenti. Stava nella forte, liberatoria esplosione di quella rabbia contro gli oggetti invece che contro le persone, che pure avrebbero meritato l’aggressione. «La distruzione, come molte pratiche infantili, è un esercizio meticoloso che richiede tempo e pazienza». Insomma La frattura, mi resi subito conto, non doveva essere un romanzo nato dalla malattia, ma la malattia era stata l’occasione perché la voce di una romanziera si manifestasse.

images-2Del resto Giovanna, nata a Benevento nel 1969 e cresciuta  a Roma, aveva a lungo trafficato con la letteratura nel suo lavoro di critico letterario e di editor presso diversi editori (Einaudi, Fazi, Fanucci per dirne alcuni). Severa, sicura di sé, anche brusca talvolta, aveva – rispetto alla narrativa – un preciso orientamento, che trovavo confermato nelle scelte stilistiche del suo romanzo: secchezza e controllo formale, razionalità e nessuna scivolata nel sentimentalismo. Ecco, questo volevo dirle quando continuavo a chiamarla al cellulare spento nell’ultima settimana della sua vita assurdamente breve, che nessuno prevedeva, nonostante tutto, dovesse essere l’ultima settimana. Volevo dirle che era riuscita splendidamente a intrecciare i vari elementi del libro: il precario equilibrio delle relazioni umane, amori, amicizie, il senso di sconfitta, la scoperta di un nuovo sguardo sulle cose, la paura di perdere tutto, la voglia cocciuta di mantenerlo. Volevo dirle che funzionava benissimo la macchina del suo racconto, quell’alternarsi di realtà ospedaliera e realtà esterna, pensieri e dialoghi, lettere e incontri (e scontri) fra i vari personaggi. Volevo dirle che mi era piaciuto moltissimo il personaggio del professor Scicchitano, quel suo ruolo di consigliere, confessore, amico, alter ego, le descrizioni dei suoi spazi, dei suoi gesti, che ne senti l’odore del tabacco sui vestiti, lo vedi portarsi alla bocca le noccioline e masticarle rumorosamente mentre parla nel suo modo intelligente. E mi piace come viene fuori il rapporto fra amiche: «Raccontami e che sia nei minimi dettagli, dai che non aspetti altro anche tu, finalmente ti è successo qualcosa, e allora smontiamolo e rimontiamolo insieme, lui ha detto, io ho risposto, e come ti tocca, e cosa ti dice, e quanto durerà, e tu che ne pensi». Insomma, volevo farle i complimenti. Ma non è stato possibile, al telefono non ha più risposto.

Giovanna in una foto buffa

Giovanna in una foto buffa

Così l’ho scritto adesso qui quel che ho pensato de La frattura (Elliot, 171 pagine16,50 euro) e aggiungo ancora che la scena madre che chiude il romanzo non è solo scioglimento del plot, ma anche delle tante contrastanti emozioni accumulate nel corso della lettura e questo è un bel colpo di teatro. Giovanna di quella scena (che non racconterò per non guastare la sorpresa) mi aveva parlato, anticipandomela. Mi aveva detto che non se l’era inventata: era davvero accaduta a una nostra amica comune. E avevamo un po’ riso alle spalle di questa amica che sicuramente non se ne avrà a male. Perché ora, quella risata insieme, è un bel ricordo. Ed è consolante, nello sgretolarsi delle cose, nell’inarrestabile scorrere del tempo, che un libro ne conservi una traccia segreta.

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