Monika Held (L’Unità, 21/2/14)
«L’amore non si può spiegare» risponde Lena, protagonista del romanzo La notte più buia di Monika Held (Neri Pozza, 285 pagine, 16,50 euro, traduzione di Riccardo Cravero), a un’amica che le chiede perché abbia voluto sposare «un uomo malato». L’uomo, il viennese Heiner Rosseck, è malato nello spirito, non nel corpo. Pesa sulla sua vita, sulla sua memoria, sui suoi nervi turbati un’esperienza estrema: è stato internato da giovane, perché comunista, nel campo di concentramento di Auschwitz. E’ un sopravvissuto, un “salvato” che non può dimenticare i “sommersi”, non può, non deve rimuovere l’orrore cui ha assistito, e in gran parte subito, e che per poco ha mancato di risucchiare anche lui per quel gioco del caso, della buona fortuna (anche se è arduo usare questa espressione per una vicenda come la sua) che preserva arbitrariamente alcuni consegnando altri al martirio e alla morte.
All’inizio del romanzo vediamo Heiner e Lena che visitano una casa e discutono se comprarla o no. Come una coppia qualsiasi. Ma non sono una coppia qualsiasi. Si sono conosciuti a Francoforte nel 1964, durante un processo per crimini nazisti a due imputati che risvegliano in lui – chiamato a testimoniare – i peggiori ricordi di un passato che non passa. Lei è una traduttrice, molto più giovane. Non può restare indifferente a quel che ascolta e travasa da una lingua all’altra. Quando durante una sospensione degli interrogatori, incontra in un corridoio quel bell’uomo pallido, stremato dalle accuse enumerate nel corso del dibattimento, che sta per svenire e si accascia lentamente contro un muro, non può fare a meno di soccorrerlo.
Heiner non è solo una creatura ferita in modo indelebile. E’ anche quello che era «una vita prima della vita», quando «sinistra stava per giustizia, destra per sfruttamento» e tutto era ancora innocente, chiaro, semplice: un uomo seducente, seduttivo, bizzarro, ironico, istrione che sa come conquistare una donna e può tenerle nascosto, ma non per molto che «la morte è la mia ombra, mi accompagna come un leggero mal di testa».
La notte più buia è dunque la storia di un amore che si annuncia impossibile, ma che trova in una caparbia determinazione a venirne a capo la forza di superare lo scoglio altissimo della tragedia. La Held, che è anche una giornalista – nata ad Amburgo nel’43 – è stata abilissima nell’intrecciare testimonianza e trama romanzesca. Ha utilizzato i documenti sulle esperienze dei sopravvissuti e raccontato ancora una volta gli orrori nazisti, ma mescolando il noto all’inconsueta problematica di chi, non evendo vissuto lo sterminio sulla sua pelle, si trova a condividere le difficoltà psicologiche di un compagno che non riesce a venirne fuori, costantemente tentato dal suicidio e che la “tradisce” con una famiglia particolarissima e davvero invadente: quella degli amici che si sono salvati con lui in una vicendevole prova di eroismi.
E se gli orrori evocati da Heiner – che finisce per trasformare qualsiasi invito a cena nella performance macabra di un replicato psicodramma – non possono lasciare freddi, l’aspetto più interessante di questa narrazione sta nel mite coraggio di Lena. «Quanto passato può sopportare una persona?» si chiede, spesso sul punto di mollare, di scappare lontano da fantasmi che non sono i suoi. Fino a che punto si può resistere per amore? Come fa la normalità a imporsi se si arriva a pensare: «La spostata sono io… ma solo perché di fianco a quest’uomo non si può restare normali?»
Se il romanzo offrisse come soluzione una formula, se Lena riuscisse a salvare Heiner da se stesso salvando allo stesso tempo se stessa, La notte più buia sarebbe un romanzo falso, una delle tante storie a lieto fine destinate alla rassicurazione di un lettore poco avveduto dopo averlo abilmente tenuto sulla corda per quasi 300 pagine. Se finisse in uno scacco, Lena non sarebbe il personaggio originale che è. C’è una terza via, l’unica percorribile in una letteratura seria e nella vita, che è la quotidiana lotta con le proprie debolezze, sconfitte e imperfezioni per dare rotondità alle storie, dentro e fuori il racconto che possiamo farne.