Il convincente esordio di Novita Amadei (L’Unità, 16/5/14)
Il nome si pronuncia Nòvita con l’accento sulla o. Sembra indiano, invece è un nome d’invenzione che ha a che vedere con l’idea di novità. L’hanno voluto per lei i suoi originali genitori, quando è nata, a Parma, nel 1978. Dunque Novita Amadei ha trentacinque anni – una generazione, la sua, che sta dando parecchio alla narrativa italiana – ed è al suo primo romanzo: Dentro c’è una strada per Parigi (Neri Pozza, 175 pagine, 16,00 euro). Ecco subito una seconda bizzarria: strano titolo, si dirà. Dentro dove? Dentro al libro c’è una strada per Parigi? In che senso? Il senso lo si scopre solo leggendo, arrivando al quarto e ultimo capitolo e non sarò io a svelarlo. E’ bello leggere il romanzo accompagnati da questa domanda, mentre si snoda una storia leggerissima e profonda che ha come centro la relazione fra tre creature femminili, l’ottantenne Adèle, la piccolissima Eline, che va all’asilo, e la sua mamma Martha, che a occhio deve avere l’età dell’autrice o poco meno. Sono francesi e vivono a Parigi, dunque che bisogno hanno di trovare la strada che va in città? Che sia metaforica questa strada? Sì e no, ma altro non aggiungo su questo punto. Invece narro un po’ la storia. Martha ha perso il lavoro, pur essendo una brava agente immobiliare, e contemporaneamente ha divorziato. E’ andata a vivere in una nuova casa, al quinto piano, porta a porta con Adèle, e cerca di prendere nuove misure col mondo. Al settimo vive un misterioso scandinavo, Jacob Lundman, che Martha non ha mai visto ma nell’appartamento del quale finirà, per un’altra bizzarria del suo carattere, a fare le pulizie al posto della domestica rumena, che se ne va e cerca una sostituta. Tutto questo insistere sui pianerottoli è importante, perché gran parte delle svolte nella vicenda avviene in ascensore o per le scale del palazzo o sulle porte di casa a cui qualcuno bussa. Ma cosa avviene precisamente? Tutto e niente, la vita, l’amore, l’amicizia, la morte. La complessità dei sentimenti. Le telefonate con una quasi sorella che vive al di là dell’Oceano. Un’uscita con le ex colleghe. Le passeggiate per il quartiere dove chiudono vecchi negozietti. La grazia infinita dei bambini, quando non sono stucchevoli nei racconti che ne fanno gli adulti. La solitudine; la possibilità di mettervi fine, e la gelosia di conservarla. Il segreto degli altri, che vivono qualche piano sopra di noi, o sotto, o di fronte e di cui solo incidentalmente e per caso intuiamo qualcosa di autentico, e di doloroso, tenuto discretamente per sé.
E’ chiaro che Lundman e Martha sono destinati a incontrarsi, a innamorarsi anche un po’. Quando in un romanzo citi una pistola carica a un certo punto quella pistola sparerà. Però col silenziatore, in questo caso. Perché Amadei racconta così, sottovoce, e in modo saggiamente pacato. Ha «la voce grande e calma» che attribuisce al suo personaggio maschile, un uomo che la conquista per sottrazione, e non perché voglia negarsi, ma perché la vita separa chi si ama, dolcemente, senza fare rumore dice la poesia di Prévert cantata da Yves Montand. E poi c’è il figlio di Adèle, Sébastien, pure lui coi suoi conti in sospeso con la madre, che si scioglieranno quando emergerà il passato dell’anziana signora. E intorno a tutto, intuita, respirata, sentita più che descritta sta Parigi, protettiva e materna come sono Martha e Adèle l’una per l’altra, e tutt’e due per Eline, e come pure Eline – nel suo modo infantile – è per loro. C’è un brano del libro, per esempio, in cui Martha e Jacob fanno un giro notturno per la città intorno a uno zoo d’invenzione e parlano di se stessi parlando d’altro. La città è uno sfondo lontano, anonimo, eppure presente, quasi desse l’intonazione al dialogo. «Perché fa le pulizie?» le chiede lui. «C’è chi va in analisi e chi fa le pulizie» risponde lei, e poi domanda: «E lei? E’ svedese?» «Sì, c’è chi fa psicanalisi, chi le pulizie e chi è svedese». Quando tornano a casa, lei sale in ascensore e lui fa i sette piani a piedi. Rientrano ognuno nel proprio appartamento. Lui si affaccia alla finestra a osservare «la città tiepida» e in quell’umidità rivede i capelli bagnati di Martha. Martha la città non la guarda, non si accorge nemmeno dei botti (è Capodanno) perché sta semplicemente sorridendo. «Si spogliava davanti allo specchio e sorrideva… non si accorse dei fuochi, sorrideva». Selezionata l’anno scorso, fra quasi duemila concorrenti, nella cinquina del Premio Neri Pozza per inediti (a proposito: il bando della seconda edizione 2015 è stato reso pubblico il 6 maggio) Novita Amadei, che da molti anni vive in Francia e si occupa di rifugiati, si segnala scrittrice inconsueta, libera, capace – senza acrobazie – di ritagliarsi una fisionomia incisiva. C’è sicuramente tanto cinema francese contemporaneo nelle sue immagini, ma del migliore: quello che sa raccontare la quotidianità, l’annodarsi e sciogliersi dei sentimenti attraverso piccole storie, con malinconia venata di divertimento, con un acume leggero che affonda in una seria conoscenza delle cose narrate. Leggendola ho pensato a Claude Sautet, per dire, il meraviglioso regista di film come Un cuore in inverno o, il mio preferito, Nelly e Monsieur Arnaud.