Le Avventure di Malerba (Il Foglio, 25/11/20)
Cosa c’entra Sancho Panza con Anna Karenina e perché il mostro di Frankestein dovrebbe incontrare Don Abbondio? Strano rapporto davvero quello di Bertoldo con Turandot! Per non parlare dell’Innominato con l’Uomo Invisibile e dell’Otello verdiano che si trova faccia a faccia con l’Othello di Shakespeare… Eccoli i protagonisti delle Avventure di un narratore, Luigi Malerba, che sapeva, scrivendo, divertirsi e divertire. Pubblicate per Il Mulino nel 1997, tornano ora dall’editore Italo Svevo (110 pagine, 15 euro) con il gusto retro del costringere il lettore a tagliarsi da solo le pagine. Ma, giuro, fa parte del divertimento e, se per caso, non hai completato il lavoro subito all’inizio, può capitare di doverlo fare di corsa perché non si vede l’ora di andare avanti e di capire cosa risponderà Turandot a Bertoldo che osa partecipare alla gara risolvendo i suoi enigmi per sposarla. Un bifolco come lui con una principessa di tal fatta? Proprio così. Ed è una delle novelle più spassose. Anche il termine novella è un po’ retro me ne rendo conto, eppure si accorda meglio del più comune “racconto” con una lingua festosa che pesca sia nel grottesco sia nel prezioso e che ci riporta indietro alla grande tradizione del comico italiano. Bertoldo, poi, parla lui stesso per indovinelli, filastrocche, proverbi e anche se non coronerà il suo vanaglorioso sogno matrimoniale riuscirà almeno a salvare la pelle: «Alle pedate ci sono abituato. E’ al taglio della testa che non ci saprei fare l’abitudine», conclude saggiamente.
E’ invece la storia di una nuova tentazione sulla via del male quella che deve affrontare l’Innominato, proprio quando, dopo l’incontro con il cardinale Borromeo, in pieno pentimento e crisi mistica, deve resistere all’interessante invito dell’Uomo Invisibile a mettersi in società con lui per compiere roboanti misfatti. Questa è la novella più, diciamo, “intellettuale” del libro, vi sono messe a confronto due idee della vita e due tipi di personaggi letterari: «Eh, no, caro Uomo Invisibile! Io sono un personaggio reale preso e inserito in un romanzo mentre voi siete un personaggio inventato. C’è una bella differenza!» esplode a un certo punto l’Innominato. E lo stesso Malerba, nell’introduzione intitolata spiritosamente Excusatio non patita, riflette sulla natura fantasmatica (fino a un certo punto) dei personaggi letterari condannati alla sofferenza perché «la felicità non è descrivibile, forse è un sentimento troppo volatile e precario per diventare oggetto di rappresentazione». E così lui, si giustifica lo scrittore, per non creare nuovi infelici, si è andato a prendere personaggi già esistenti e li ha fatti interagire l’un con l’altro dentro inedite avventure e incontri impossibili per la felicità del lettore. Lettore che, in questi giorni pandemici, è doppiamente grato a chi gli strappa un sorriso, quando non sonore risate come succede con i due Otelli, uno con l’h e l’altro senza, dove lo sbigottito eroe scespiriano si ritrova in un teatro lirico e non capisce cosa sia successo al testo originale stravolto, a suo dire, «da un certo Arrigo Boito». Come si è permesso costui «di riscrivere le parole del sommo fra tutti i commediografi?» E in nome di un certo Giuseppe Verdi, Verdi chi? Cose che succedono a chi piomba da un passato in cui l’opera lirica non esisteva ancora…
Il libro è introdotto da un saggio di Cristina Benussi che inquadra l’esordio narrativo di Malerba nella temperie sociale e culturale degli anni ’60, in cui si delineò quella sua particolarissima voce che lo ha reso una delle figure più originali del nostro panorama letterario.