Elio e Irene (Immaginazione 301)
Quante volte ho ascoltato Elio Pecora raccontare di sé e dei suoi amici, della Roma degli anni ’60, della prepotenza di Elsa Morante e degli atteggiamenti infantili di Alberto Moravia, del fascino stravagante di Rodolfo Wilcock e delle dannazioni amorose di Dario Bellezza, delle feste da Elsa De Giorgi e delle ossessioni di due grandissimi poeti come Sandro Penna e Amelia Rosselli. Ogni volta mi rammaricavo di non avere con me un registratore, di non prendere un appunto al volo. Ora Elio si è deciso a metterli per iscritto i ricordi, in un libro che è un distillato dei suoi racconti orali. Un giorno, dice, si deciderà a rileggere vecchi diari, a sistemare vecchie lettere. Per adesso accontentiamoci delle memorie che gli sono affiorate disordinatamente e che ha raccolto in questof Libro degli amici (Neri Pozza, 142 pagine, 15 euro). C’è dentro il mood vagabondo di un poeta trentenne appena sbarcato a Roma da Napoli, che si mette a fare il libraio in una centralissima libreria Bocca a piazza di Spagna, porto di mare di intellettuali e gente famosa. Vi approda persino Ingrid Bergman, e Anna Magnani abita nell’appartamento di sopra. Brigitte Bardot attraversa la piazza in mezzo a un nugolo di fotografi. Di tanti clienti scrittori Pecora diventa compagno di avventure e di confidenze: va al cinema con l’inquieto Moravia, si fa maltrattare dalla Morante (ma poi si stufa e se ne allontana), passa serate musicali suonando al pianoforte e cantando con la sua bella voce che tutti vogliono ascoltare ed è ospite fisso alle ottime cene da Laura Betti, dove Pasolini non manca mai. Stringe amicizie durature con Elena Croce, la primogenita del filosofo, e con la scrittrice Francesca Sanvitale «dalla risata breve, sospesa». Intanto s’innamora e scrive i suoi versi e il tempo passa in questa «vita colma di vita» e succedono catastrofi che rompono l’incanto di un’epoca irripetibile: Pasolini viene ucciso barbaramente, e un giorno Amelia Rosselli si butta dalla finestra in un cortile della sua casa a via del Corallo che a Elio, quando ci s’era affacciato la prima volta era sembrato «un pozzo scuro e minaccioso». Muore anche Moravia che nella bara conserva «un aspetto impavido, attento». Nel capitolo finale, l’autore s’interroga sulla grande confusione di oggi: questo correre che fanno gli scrittori di qua e di là per autopromuoversi, questo parlarsi addosso. «La barbarie è in atto, e se fosse rinascenza?» si chiede con un briciolo di ottimismo. «Un mondo impensato fluttua negli spazi» conclude. Un mondo, però, che già non ci contiene.
A proposito di amici, conosco Irene Bignardi da molti anni e ho sempre pensato, leggendo i suoi articoli, raccolti in vari libri (ho amato in particolare i Brevi incontri, uscito da Marsilio nel 2003), che la scrittura giornalistica e critica, da lei praticata fin da giovanissima, prevalentemente nel settore cinematografico, ma con preziose scorribande nella letteratura, le stesse un po’ stretta. Insomma devo dire che questo libro di racconti tirato fuori adesso dal suo vivacissimo cilindro (Kerestetìl, astoria, 97 pagine, 12 euro) non mi sorprende per nulla. E non mi sorprende che sia molto bello. Le somiglia profondamente, come ogni scritto necessario. Anche se si presenta come una raccolta di racconti è in realtà una forma di autobiografia dall’infanzia ai vent’anni, l’educazione sentimentale d’una bambina nata da una famiglia di originali colti e artistici, che cresce in un clima di intelligente frivolezza, ma di solidi principi, che viene catapultata prestissimo nell’ambiente editoriale e cinematografico in cui ancora si muovevano personalità internazionali cui si accenna solo per nome di battesimo. Il tono però non è mai nostalgico, e la domanda del titolo, quel que reste-t-il di una celebre canzone, slittando nella sua traslitterazione, assume una vena di autoironica distanza liberandosi subito da una possibile tentazione autocelebrativa. Se i personaggi, gli sfondi, le case, le vacanze di Kerestetìl sono l’eccezionale scenario di una classe intellettuale privilegiata, le situazioni, il tono confidenziale, le emozioni di bambine, poi giovani donne, che si muovono nel libro, appartengono a esperienze di tutti, tenere e lontane, che solo il ricordo e il raccontarlo può recuperare. Irene racconta per la gioia di raccontare, consapevole che, come la rosa di Gertrude Stein, «una storia è una storia è una storia». Nient’altro che questo, dell’autore e di tutti. Di tutti e di nessuno, perché appartiene solo a se stessa e a chi la leggerà. Con grazia e passione in questo caso.