Immaginazione n.307

Immaginazione n.307

Arrivano libri omaggio ogni tanto con la posta, spediti da autori o da editori. Spesso non sono esattamente i testi che uno ha voglia di leggere e viene subito un certo senso di colpa. Ma può succedere anche il contrario. Ultimamente, al ritorno da un piccolo viaggio, ho trovato ad attendermi ben tre libri che ho subito avuto voglia di leggere. Il problema è che non sapevo da quale cominciare. Mi erano stati annunciati tutti e tre e, dunque, li aspettavo. Ma speravo di poterli avere in mano in modo scaglionato, in ordine di arrivo insomma. E invece che fare? Li cito adesso in ordine alfabetico: L’invenzione di Caravaggio (Utet) di Roberto Cotroneo (come resistere a un titolo del genere?); Scrivere, con l’inchiostro bianco (Iacobelli) di Maria Rosa Cutrufelli, che parla di un tema a me naturalmente carissimo; Cesare (Einaudi) di Rosetta Loy. Siccome questo Cesare di Rosetta è un po’ anche il “mio” Cesare, nel senso che, trattandosi di Garboli, ne ho parlato a lungo nel mio ultimo libro (un ritratto di Natalia Ginzburg dal titolo La Corsara, edito da Neri Pozza) ho finito per far trionfare la curiosità più immediata. E ho dato la precedenza alla Loy.

Rosetta Loy

Anche il suo testo è un ritratto. Di un uomo eccezionale e complicatissimo che ha dedicato la vita allo studio di altri scrittori, alcuni lontani nel tempo (Molière, Pascoli), ma altri – la maggior parte – suoi amici: la Ginzburg, appunto, la Morante, Delfini, Penna…. Così Rosetta Loy ripercorre il lavoro di Cesare cronologicamente, ne cita ampi stralci, colloca le sue ricerche, i suoi scritti nel procedere della vita, che per tanti anni, fino alla fine, ha condiviso con lui. E’ uno sguardo affettuoso il suo, che contempla i luoghi, le case, gli oggetti, gli animali da cui sono stati circondati con la capacità evocativa che dà anima alle cose, con la semplicità con cui si osserva una foto e la si descrive. Con rimpianto e gratitudine. I momenti più emozionanti di questo libro sono quelli in cui Rosetta si abbandona a improvvisi flashback del loro amore: lo fa con pudore, ma con la capacità luminosa di rendere presente il passato. Una carezza, il bagno in un torrente, un certo ristorante, un cielo meraviglioso guardato in due. C’è tanta acqua in questo racconto, acqua che scorre come scorre la vita, e non a caso si conclude con la più equorea delle parole: mare.

Fra gli autori di cui si è occupato Garboli ci fu anche Roberto Longhi: ne fu anzi molto amico, come fu amico di sua moglie, la scrittrice Anna Banti. E un altro Roberto racconta nella sua Invenzione di Caravaggio, di quando Bernard Berenson, per vendicarsi dell’indipendenza del suo allievo, Longhi appunto, gli chiese a bruciapelo: «Come ci si sente a vivere con un genio?» Il genio era la Banti, laddove tutti pensavano che nella coppia, semmai, il genio fosse lui. Misteriosi legami fra i libri. Passo così, dal Longhi trovato nelle pagine di Rosetta Loy a quello evocato da Cotroneo perché già a vent’anni Longhi si dedicava a studiare il Caravaggio, e ne capiva intimamente i segreti artistici risolvendone gli enigmi. Non so se Cotroneo sia più appassionato di Caravaggio o di Longhi, sta di fatto che con questo suo libro ha reso ai due grandi della pittura e della critica d’arte un doppio omaggio affascinante e affascinato. Sono belli i libri inclassificabili e questo lo è: racconto, divagazione, lettura di diversi destini artistici. Libri da cui s’imparano molte cose.

Allo Scrivere di Maria Rosa Cutrufelli, invece, devo un nuovo affondo in un tema su cui sembra sia stato già detto tutto il dicibile («esiste una scrittura femminile?») e che lei, ricomponendolo in un quadro storico necessario, dà ulteriore alimento. Non posso che trovarmi d’accordo purtroppo quando scrive: «A me sembra che, nella contemporaneità, gli scrittori e le scrittrici attingono ormai a un’unica fonte, ma l’acqua che bevono, pur essendo un’acqua che proviene da una sorgente comune, non li disseta alla stessa maniera». Non mi addentrerò adesso più a fondo nella questione perché non potrei farlo meglio di lei e perché, ancora una volta citandola: «più di questo, per il momento, non so». Cutrufelli sa invece, e molto, del destino e della scrittura di una grandissima poetessa, la padovana Gaspara Stampa, vissuta nel sfarzo della colta società veneziana, dove poteva far sfoggio di doti eccezionali per una donna grazie all’educazione liberale avuta dal padre. Fu una notevole musicista, intratteneva gli amici cantando e suonando l’arpa, bella, colta, appassionata, capace di comporre versi immortali. Versi d’amore per uomini che non seppero essere all’altezza del suo genio e ricambiarla, troppo spaventati. forse, da una donna in grado di competere sullo stesso piano culturalmente. Cutrufelli fa perno del suo racconto la sorella della poetessa, Cassandra, cui si deve il salvataggio dell’opera di Gasparina, altrimenti destinata a essere dimenticata per quel misconoscimento postumo (quando non anche in vita) del talento femminile, mai superato. Mi è piaciuto vedere Maria Rosa girovagare per le calli di Venezia alla ricerca di una casa possibile dove collocare la Stampa e poi immaginare Cassandra allo scrittorio che dice convinta a se stessa: «Spetta a me». Sì, spettava a lei salvare il lavoro poetico della sorella e tramandarne fino a noi la memoria.

 

FacebooktwittermailFacebooktwittermail
No Comments

Post a Comment